giovedì 29 aprile 2010

Utilizzatore finale




Travaglio dal Fatto di oggi:



Nell’ora della prova, è cosa buona e giusta che gli italiani di buona volontà si stringano attorno all’ormai ex ministro Scajola, venuto prematuramente a mancare all’affetto dei suoi cari. La tegola che l’ha colpito non la si augura al peggior nemico: un impresario edile che lavora col suo governo gli ha pagato la casa a sua insaputa. Così per scherzo, o per sfizio, o per dispetto. Anemone aveva 900 mila euro che gli crescevano e, non sapendo che farsene, ha pensato di regalargli un appartamento di 180 metri quadri vista Colosseo (il famoso “mezzanino”) senza dirgli niente. A tradimento. Ma cribbio, son cose da farsi? Bell’amico. Per sei anni Scajola ha abitato in una casa convinto di averla comprata lui. Un caso di proprietà percepita. Lui, Sciaboletta, andava in giro tutto tronfio e compiaciuto del suo fiuto per gli affari. Appena incontrava qualcuno, gonfiava il petto: “Ma lo sai che ho comprato 180 metri quadri sul Colosseo per 610 mila euro? Ganzo, eh?”. Poi ha letto i giornali e ha scoperto che qualcuno aveva aggiunto 900 mila euro per fare buon peso. Come Berlusconi: quando gli aviotrasportavano stock di ragazze nelle sue residenze, s’illudeva di averle conquistate tutte col suo charme. Figurarsi la delusione quando ha scoperto che erano escort e, dietro la porta, c’era sempre un Giampi Tarantini che le pagava per il disturbo 1000-2000 euro, inclusa l’indennità rischio. Dall’utilizzatore finale di mignotte all’utilizzatore finale di case.

Anatema

Dopo aver visto le scene di giubilo tra i tifosi laziali ad ogni goal dell'Inter, mi associo alla maledizione di Mughini.
Vi auguro la serie B perenne perchè siete stati indecenti. Non per aver tifato contro la Roma ma per aver gioito mentre la vostra squadra veniva stracciata in casa propria. Siete a un passo dal baratro e preferite morire piuttosto che vedere l'avversario raggiungere la vetta.
Vi do una novità: il vostro avversario la vetta l'ha già raggiunta..anche se arriva secondo.
Voi invece avete toccato il fondo!

Emergency ringrazia


Grazie


Cari amici,
vorrei ringraziarvi dello straordinario sostegno che avete dato a Emergency in questa difficile situazione.


Insieme a voi abbiamo vissuto un periodo di grande preoccupazione per i nostri operatori umanitari e per l'ospedale di Lashkar-gah, l’unica struttura nella regione in grado di offrire cure chirurgiche gratuite e di qualità alle tante vittime di guerra.


Come sapete, i nostri tre colleghi italiani sono stati rilasciati con tante scuse. Un rilascio, come hanno detto gli stessi servizi di sicurezza afgani, frutto non di pressioni di sorta ma dovuto a una semplice, banale verità: sono innocenti. L’avevamo detto fin dal primo, durissimo giorno, e voi con noi. Dei sei collaboratori afgani che erano stati prelevati insieme agli italiani, cinque sono stati rilasciati il 28 aprile; sul sesto stanno proseguendo le indagini. I nostri avvocati e il nostro personale a Kabul continuano naturalmente a monitorare la situazione.

Stiamo già lavorando per la riapertura dell’ospedale di Lashkar-gah: continuare ad assicurare assistenza alle vittime di guerra – per il 40 percento bambini – è la nostra priorità, come lo è stata per i quindici anni della nostra storia.


Siamo riusciti ad affrontare a testa alta questi giorni durissimi grazie a due fattori. Il primo, naturalmente, era la consapevolezza che i nostri fossero innocenti. Ma l’altro ingrediente fondamentale siete stati voi: il vostro sostegno, le mail e le telefonate, la presenza a piazza San Giovanni (con il corpo o con lo spirito), le quattrocentomila firme in quattro giorni. Di tutto questo, non sappiamo come ringraziarvi. Anzi, lo sappiamo: continuando a fare sempre di più e sempre meglio il nostro lavoro, curando chiunque ne abbia bisogno. E siamo sicuri che voi non ci farete mancare il vostro sostegno in futuro, anche con un gesto che a voi non costa nulla, come la devoluzione del 5 per mille per gli ospedali di Emergency.

Ancora una volta, grazie di cuore. A presto,


Cecilia Strada
Presidente di Emergency


IL TUO 5 PER MILLE PER GLI OSPEDALI DI EMERGENCY
codice fiscale 971 471 101 55




mercoledì 28 aprile 2010

Procure deserte



Trafiletto dal Fatto di oggi:



Il governo Berlusconi fa un gran bel parlare dell’inflessibilità nel combattere la mafia, poi la Procura di Caltanissetta (titolare dell’inchie - sta sui mandanti esterni delle stragi del ‘92) può contare solo su due pm, Marino e Luciani, impegnati in altre delicate indagini. “Ho una scopertura formale del 33%, sostanziale dell’oltre 45%, visto che debbo impiegare risorse che risultano in organico per coprire la Procura di Enna e quella di Nicosia” spiega il Procuratore Capo Sergio Lari. “Ad Enna non c’è più un sostituto, a Nicosia ce n’è uno, a Gela c’è il procuratore capo e due sostituti”. Realtà ad alta densità mafiosa a cui si aggiunge la criminalità comune dove il presidio di legalità diventa impossibile. Sempre che Cosa Nostra non sia conosciuta nel mondo per i libri e le fiction e non per la sua capacità di affrontare lo Stato a viso aperto come non accade in nessun altro Paese.

martedì 27 aprile 2010

Storia di una holding criminale - spin off


Oggi riprenderò a parlare della banda della Magliana con un piccolo spin-off.


La figura che analizzerò è quella del criminologo Aldo Semerari, che aiutò molti componenti della banda fornendo loro false perizie di infermità mentale. Il professore fu anche un collegamento tra la banda e l’estremismo di destra.


I dati che riporto sono stati presi dalla rete.


Aldo Semerari è stato professore ordinario di Medicina Criminologia all’Università degli Studi di Roma “ La Sapienza ”, Direttore dell’Istituto di Psicopatologia Forense, perito tra i più autorevoli, noti e stimati nei Tribunali Italiani.


Seguì, fornendo consulenze e perizie psichiatriche i casi giudiziari più noti, eclatanti ed importanti in Italia negli anni settanta, come la perizia su Pelosi nel caso Pasolini, oppure il Boia di Alberga, membri del Clan dei Marsigliesi, mafiosi, Camorristi della Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo nonché uomini di Cosa Nostra e della Banda della Magliana.


E’ considerato uno dei padri della Criminologia Italiana, autore di numerose pubblicazioni scientifiche, nonché primo traduttore in Italia del filosofo esistenzialista Karl Jaspers.


Semerari aveva confusi trascorsi politici. Negli anni 50 era militante del Partito Comunista Italiano, sino ad essere della corrente stalinista. Nel 1955 però lasciò il PCI, per dichiararsi, già nei primi anni 60, fascista. Aveva anche una svastica tatuata sul corpo.


Il Giudice Lupacchini, che ha scritto un libro sulla Banda della Magliana, così descrive Semerari : psichiatra forense, massone ed iscritto alla Loggia P2, diplomatico del Sovrano Militare Ordine di Malta e da sempre agente dei servizi d’informazione militare. A conoscenza dei retroscena più scabrosi del regime, e tra questi il delitto Moro. Propugnatore di teorie antisemite e visceralmente anticomunista, coltiva stretti rapporti con i più accesi ambienti neofascisti e si propone di cementare il neofascismo di Costruiamo l’Azione, del M.P.R. e di Ordine Nuovo, con le organizzazioni criminali non soltanto romane, in un unico aggregato antistatuale, finalisticamente orientato alla realizzazione di attentati dinamitardi, sequestri di persona, traffici di armi.


Il Giudice Lupacchini sostiene che, Aldo Semerari fungeva da garanzia per malavitosi, fascisti di borgata, banda della Magliana, camorristi e mafiosi, che spesso gli apparati di sicurezza usano come braccio armato. ( Otello Lupacchini, Banda della Magliana, Koinè, 2004).


La vita del Professore, era intessuta di singolarissime ed ambigue frequentazioni, relazioni pericolose, molto pericolose con il mondo criminale, che tra le varie cose lo avvicinarono fortemente alla strage di Bologna, ed è per questo motivo che, nel 1980 il Criminologo nero fu arrestato nell’ambito della detta inchiesta, venendo poi liberato dopo 8 mesi di detenzione, anche per l’intervento dei servizi segreti di mezzo mondo, ivi compreso l’intervento della CIA.


Il Criminologo Nero era noto poi anche per le sue singolari credenze religiose. Era dichiaratamente pagano, adoratore del Sole, nonché gran consumatore di fegato crudo in occasione dei riti del Solstizio. ( Destra Estrema e Criminale, Mario Caprara e Gianluca Semproni, Newton Compton Editori, Roma, 2007).


Secondo il Boss della Magliana, Abbatino (il Freddo della serie tv), il Prof. Semerari, nella sua Villa nelle campagne di Rieti, dormiva su un letto in metallo nero, sormontato da una bandiera con la svastica, ed ai suoi dobermann dava ordini in tedesco.


Il 23 giugno 2000, sono stati scagionati gli unici imputati di una ventennale storia processuale che si intreccia con le trame dell’eversione nera, con i morti ammazzati della Banda della Magliana, con i segreti inconfessabili del sequestro Cirillo e con i tradimenti dei servizi segreti deviati. È stato lo stesso pubblico ministero, Salvatore Sbrizzi, a chiedere l’assoluzione per i cinque camorristi finiti sott’inchiesta, dopo il pentimento di Umberto Ammaturo: Antonio Baratto, Ciro e Pasquale Garofalo, Giovanni Monaco e Umberto Adinolfi. Erano ritenuti gli esecutori materiali del delitto, commesso su ordine proprio di Ammaturo, si disse, per punire la decisione della vittima di assumere nuovamente la difesa del padrino Raffaele Cutolo, suo acerrimo nemico. L’unica certezza è la data della scomparsa di Semerari, il 25 marzo 1982, e il luogo, Napoli, dove il docente si trova per una perizia psichiatrica su un detenuto del carcere psichiatrico di Sant’Eframo.


Il 1° aprile, un passante nota uno strano liquido uscire dalla portiera di una Fiat 128 rossa, parcheggiata in viale Elena, a Ottaviano, di fronte all’abitazione di Vincenzo Casillo, «braccio destro» del boss Raffaele Cutolo. Avvisa un vigile urbano, che a sua volta contatta i carabinieri.


Sul sedile anteriore, lato guida, si trova una busta di plastica insanguinata. Contiene la testa di Semerari, mozzata con una sega. Il corpo viene ritrovato nel bagagliaio. Che si tratti del cadavere del professore è quasi certo, anche se l’identificazione diventa ufficiale soltanto alle 13.30, quando il medico legale estrae dalla tasca della giacca una tessera ferroviaria intestata ad Aldo Semerari.


Il 1° aprile 1982 in quelle stesse ore a Roma, una collega di Semerari si spara un colpo di pistola in petto e muore in un lago di sangue. Si chiama Maria Fiorella Carrara e lavora come psichiatra nello studio del criminologo e anch’essa redige perizie per la criminalità organizzata. I vigili del fuoco la trovano distesa sul letto, con a fianco la «357 Magnum» con cui si è tolta la vita. Il suicidio della giovane donna sarà attribuito al dolore per la scomparsa dei genitori, morti entrambi di tumore… otto anni prima.


Il coinvolgimento di Semerari con i servizi deviati e con le indagini su molti casi fa pensare ad un omicidio maturato in ambienti più alti della semplice criminalità organizzata.


”Chiunque combatta contro i mostri dovrebbe badare a non diventare un mostro egli stesso. Perché quando scruti l’abisso, l’abisso scruterà dentro di te.” Nietszsche

giovedì 22 aprile 2010

E' anche colpa di Al Pacino però!



Dal blog di Travaglio:



Per la seconda volta in cinque mesi Silvio Berlusconi se l’è presa con chi scrive di mafia, come Roberto Saviano, e contro chi la racconta in forma narrativa, come La Piovra. Ha aggiunto che la nostra mafia è sei volte più celebre di quanto in realtà conti nel mondo. E ha concluso che tutta questa celebrità (non la sua sostanza) nuoccia assai all’Italia.


Peccato che anche questa volta nessun giornalista si sia alzato per chiedergli se della questione mafia ne avesse mai parlato con il suo braccio destro Marcello Dell’Utri, che di mafia dovrebbe intendersene, visto che in primo grado, a Palermo, è stato condannato a nove anni per “concorso esterno”. E che al processo di Appello ancora in corso il pm abbia appena chiesto una condanna ancora maggiore, undici anni di carcere. Peccato che anche questa volta nessuno gli abbia chiesto come mai lui consideri un oltraggio all’Italia chi parla e chi scrive di mafia in nome delle vittime della mafia, cioè in nome nostro, e invece trovi del tutto innocuo chi è accusato di favorirla, la mafia, e sia meritevole di essere eletto in Parlamento per sedersi tra i rappresentanti delle vittime della mafia, cioè del popolo italiano.

Dove trovi il coraggio di fare simili dichiarazioni è presto detto. Per metà lo trova nella feroce inimicizia che ormai coltiva contro i magistrati e contro la legalità in genere. Spingendosi a dire cose che qualunque altro leader occidentale pagherebbe con le dimissioni immediate. Ma è l’impunità a nutrire l’altra metà del suo coraggio. Il nostro intero torto – che stiamo pagando fino al punto di non ritorno - è consentirglielo.

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Aggiungerei che anche Al Pacino e Marlon Brando però sono responsabili di tutto quesro parlare di mafia. Come si è permesso F.F. Coppola a girare film come il Padrino?!


martedì 20 aprile 2010

4 domande a un prete



Quattro domande cruciali che Paolo Flores D’Arcais pone a padre Lombardi riguardo le fantomatiche ‘linee guida’ che il Vaticano sostiene esistere dal 2003 e che recentemente sono state pubblicate sul sito della Santa Sede.



- Le “linee guida” sono un testo che risale interamente al 2003, “attribuibile all’allora cardinal Ratzinger”, o sono state introdotte modificazioni e/o interpolazioni nei giorni precedenti la pubblicazione on line?



- Se l’ordine del Vaticano era di rispettare le leggi civili di ciascun paese, come mai nessun vescovo ha denunciato un prete pedofilo anche nei paesi dove tale denuncia è obbligatoria? Una rivolta di quei vescovi contro il volere del Papa?



- Perché Karol Wojtyla ha approvato la lettera con cui il cardinal Castrillon Hoyos si felicitava e solidarizzava con il vescovo di Bayeux-Lisieux mons. Pierre Pican che non avendo denunciato un prete pedofilo era stato condannato dalla giustizia francese a tre mesi con la condizionale? Il Papa contro il Papa? O addirittura il cardinal Ratzinger contro Giovanni Paolo II?



- Perché non vengono aperti gli archivi della Congregazione della dottrina della fede sui casi di pedofilia, e consegnati alle autorità giudiziarie, in modo che anche la giustizia terrena possa fare il suo corso, secondo le leggi vigenti in ciascun paese?



Il resto lo trovate sul Fatto di oggi

Novità sul delitto Pasolini

Da www.pasolini.net


ROMA - E’ stato ascoltato dal pm per più di due ore. Ha fatto nomi, fornito dettagli, descritto persone. Si chiama Silvio Parrello, 67 anni, in arte “er pecetto”, soprannome col quale viene citato anche nel romanzo “I ragazzi di vita” (1955). Conobbe Pasolini ai tempi in cui lo scrittore viveva in via Fonteiana, a due passi dalla case popolari di via Donna Olimpia. Per anni ha raccolto informazioni, confidenze di piccoli e grandi malavitosi, indiscrezioni, ma non solo voci.


Certe cose Parrello, insomma, le ha sempre dette. Solo che questa volta davanti a lui c’era Francesco Minisci, un pm che all’epoca aveva solo 3 anni. Parrello è stato convocato venerdì scorso come «persona informata dei fatti». La sua testimonianza era stata già registrata e raccolta dall’avvocato romano Stefano Maccioni e dalla criminologa Simona Ruffini.


Al pm “er pacetto” ha raccontato quello che nel quartiere si dice da sempre. Vale a dire che subito dopo la morte del poeta, unaAlfa Romeo quasi identica a quella di Pasolini, sarebbe stata portata in una carrozzeria sulla via Portuense. «Era sporca di sangue e di fango, aveva una botta sulla fiancata», ha detto Parrello al magistrato.


“Er pecetto” in passato era stato già sentito dall’allora presidente della Commissione Stragi Giovanni Pellegrino e dall’avvocato di parte civile Guido Calvi. Questa volta però ha fatto i nomi. Quello del carrozziere, e, in particolare, quello dell’amico dal quale ha raccolto tutte le sue confidenze. E ha anche aggiunto il nome di un altro carrozziere che vedendo l’Alfa in quello stato e collegandola al delitto si era rifiutato di ripararla.


Ad avvalorare la versione è la relazione del perito di parte Faustino Durante. Il primo ad ipotizzare subito dopo l’omicidio che a schiacciare Pasolini fosse stata un’altra auto. Lo sterrato dell’Idroscalo, scriveva il medico-legale, «era costellato di buche profonde, la coppa dell’olio situata a 13 cm dal suolo non recava tracce di strusciature e di urti, cosa che invece doveva avere. Il terminale della marmitta non evidenziava nessun segno di urti se non lateralmente, ma erano segni di vecchie ammaccature, il frontale dell’auto era privo di tracce sia di sangue, sia di capelli, sia di cuoio capelluto».


Visionario Parrello? Nuova pista? La risposta potrebbero darla i reperti conservati in uno scatolone al Museo criminologico di Roma, se analizzati con nuove tecniche investigative. Il pezzo forte è il plantare di una scarpa destra trovato nell’auto di Pasolini. misura 41, «logoro e rovinato, non poteva appartenere certo a qualcuno ricco», indirizza i suoi sospetti Parrello. Un nome entrato e uscito dall’inchiesta, è quello di Johnny Lo Zingaro, al secolo Giuseppe Mastini, claudicante da quando in uno scontro a fuoco fu ferito al piede. Ex ergastolano attualmente in libertà vigilata.


A Parrello, un amico - di cui fa nome e cognome - avrebbe raccontato che a portare l’Alfa Romeo, «di colore azzurrino» nella carrozzeria di via Portuense sarebbe stato Antonio Pinna, esponente della malavita romana. «Pinna conosceva bene Pierpaolo e ha continuato a frequentarlo fino a pochi giorni prima dell’omicidio», ha spiegato Parrello, «Pasolini, del resto, aveva informatori e fonti personali anche in questo ambiente». In altre occasioni “er pecetto”, pittore-poeta, che ha uno studio in Via Ozenam, aveva tirato in ballo Pinna ma senza aggiungere altri particolari.


Antonio Pinna scomparve pochi giorni dopo l’inizio del processo, il 16 febbraio del 1976, «era un ottimo meccanico guidava l’auto alla grande» La sua Alfa fu trovata parcheggiata e abbandonata all’aeroporto di Fiumicino. E subito nel quartiere si collegò la scomparso al caso Pasolini. Da allora nessuno è più riuscito ad avere sue notizie. Neanche il figlio segreto, nato da una relazione prematrimoniale. Un signore che oggi ha circa 40 anni, vive nel Bergamasco e non ha mai smesso di cercare la verità sul padre.


La riapertura del caso era stata auspicata anche da Walter Veltroni, membro della Commissione parlamentare Antimafia e sollecitata dal ministro della Giustizia Angiolino Alfano. Pasolini fu ucciso all’Idroscalo di Ostia la notte del 1° novembre del 1975. Per l’omicidio fu condannato a 9 anni e 4 mesi di carcere Pino Pelosi che all’epoca aveva solo 17 anni. «Quella notte con me c’erano anche i due fratelli Borsellino», rivelò al Messaggero, nel luglio del 2008, Pino “la Rana”. Ammise per la prima volta di aver conosciuto Pasolini anche prima di quella notte fatale, «mi offrì da bere in un bar alla Stazione Termini, fu lui a presentarsi».

lunedì 19 aprile 2010

L'editore della mafia

Riporto un articoletto apparso sul Manifesto di ieri perchè rispecchia il mio pensiero circa la vergognosa uscita del premier riguardo Saviano e le fiction di mafia.
di Alessandro Robecchi

Se interpreto correttamente il pensiero del nostro presidente del consiglio, il guaio italiano non è avere la camorra, ma scrivere che esiste la camorra. Così non ha esitato a prendersela con Roberto Saviano e il suo Gomorra (Mondadori). È una vergogna. Per una volta sono d'accordo con lui: vorrei proprio sapere chi è quell'editore cinico, avido e senza scrupoli che ha pubblicato il libro di Saviano, chi è il padrone della casa editrice che ha fatto un sacco di soldi sputtanando il paese nel mondo. Naturalmente non si può ridurre il problema a un libro e a un autore. Così Silvio Berlusconi se l'è presa anche con le fiction televisive sulla mafia, quelle che fanno pubblicità a cosa nostra. Tipo La piovra, per esempio. Citazione datata, a dire il vero. Il presidente del consiglio avrebbe dovuto indirizzare i suoi strali su prodotti televisivi più recenti, come «Il capo dei capi», (Canale 5) che racconta la storia di Totò Riina, oppure «L'ultimo Padrino» (Canale 5), oppure «Squadra antimafia, Palermo oggi» (Canale 5) che va in onda proprio in questi giorni. Comunque, ha ragione: vorrei sapere chi è quel disfattista che possiede l'emittente televisiva che fa pubblicità alla mafia e ci guadagna pure dei soldi. Ma un certo fiuto giornalistico ce l'abbiamo, e ci è bastata una breve indagine per conoscere la verità. L'editore che ha fatto i soldi con Gomorra si chiama Silvio Berlusconi. L'editore televisivo che ha fatto i soldi con le fiction sulla mafia si chiama Silvio Berlusconi. Ora il caso è molto semplice. O, per uno straordinario caso di omonimia, esiste più di un Silvio Berlusconi, minimo due, forse addirittura tre, e questo è più di quanto possa sopportare un paese; oppure ci troviamo di fronte al più grave caso di schizofrenia che si ricordi. Silvio Berlusconi attacca duramente Silvio Berlusconi. Se lo incontrasse lo prenderebbe a calci. Se potesse lo arresterebbe per propaganda anti-italiana. Insomma Silvio Berlusconi questo Silvio Berlusconi non lo sopporta proprio. Come dargli torto?

Risposta di Saviano alle critiche di mr. B e alle giustificazioni di Marina B.


Ho letto la lettera del presidente della Mondadori Marina Berlusconi e colgo occasione per precisare alcune questioni. Il capo del governo Berlusconi non ha espresso parole di critica. Critica significa entrare nel merito di una valutazione, di un dato, di una riflessione. Nelle sue parole c'era una condanna non ad una analisi o a un dato ma allo stesso atto di scrivere sulla mafia. Il rischio di quelle parole, ribadisco, è che ci sia un generico e preoccupante tentativo di far passare l'idea che chiunque scriva di mafia fiancheggi la mafia. Come se si dicesse che i libri di oncologia diffondono il cancro. Facendo così si avvantaggia solo la morte.

Non capisco a cosa si riferisce quando la presidente Berlusconi dice: "Sappiamo tutti quanto abbia pesato e pesi l'omertà nella lotta alla criminalità organizzata... ma certo una pubblicistica a senso unico non è il sostegno più efficace per l'immagine del nostro Paese". In Gomorra sono raccontate anche le storie di coloro che hanno resistito alle mafie, un intero capitolo dedicato a Don Peppe Diana, c'è il racconto di una Italia che resiste e contrasta l'impero della criminalità. Quale sarebbe il senso unico? Ho anche più volte detto e scritto, che l'azione antimafia del governo c'è stata ed è stata importante, ricordando però al contempo che siamo ben lontani dall'annientare le organizzazioni, siamo solo all'inizio poiché le strutture economiche e politiche dei clan che continuano ad essere intatte.

Ecco perché alla luce di quanto scrivo ho trovato le parole del capo del governo finalizzate a intimidire chiunque scriva di mafie e di capitali mafiosi. Ho io stesso visto e conosciuto la libertà della casa editrice Mondadori. Ci mancherebbe che uno scrittore non fosse libero nella sua professione. Una libertà esiste però solo se viene difesa, raccolta, costruita nell'agire quotidiano da tutti coloro che lavorano e vivono in una azienda. Ed è infatti proprio a questi che mi sono rivolto ed è da loro che mi aspetto come ho già scritto una presa di posizione in merito alla possibilità di continuare a scrivere liberamente nonostante queste dichiarazioni.


Non può che stupire però che un editore non critichi ma bensì attacchi lo stesso prodotto che manda sul mercato, e lo attacchi su un terreno così sensibile e decisivo come quello della cultura della lotta alla criminalità organizzata. Sono molte le persone in Italia che per il loro impegno nel raccontare pagano un prezzo altissimo non è possibile liquidarle considerando la loro azione "promotrice" del potere mafioso. Una dichiarazione del genere annienta ogni capacità di resistenza e coraggio. E questo da intellettuale non è possibile ignorarlo e da cittadino non posso ascrivere una dichiarazione del genere alla dialettica democratica. È solo una dichiarazione pericolosa che andrebbe immediatamente rettificata.


©2010 Roberto Saviano/ Agenzia Santachiara

Agorà


E’ in uscita nelle sale italiane un film decisamente particolare. Non avendolo ancora visto non posso dare un giudizio di merito, ma il contenuto mi attira decisamente dato che parla di una donna molto speciale: Ipazia di Alessandria.

Ho raccontato la sua storia qui e voi potete leggerla in: I pantaloni di Pitagora di Wertheim edito da Instar libri

Questa è una recensione che ho trovato in rete.

A Cannes 2009 è piombato con un film quasi incosciente: un kolossal non americano su Hypatia, prima scienziata della storia, famosa per i suoi lavori matematici ed astronomici e per la sua morte tragica. Un film, insomma, ambientato nel IV secolo dopo Cristo, ad Alessandria d'Egitto. Ne esce fuori una pellicola a tratti fracassona e grossolana, ma molto più spesso, invece, femminista, laica, potente. Se infatti il biopic di questa visionaria della scienza, interpretata magnificamente da Rachel Weisz, prende il cuore, il film è incentrato su quello che la sua civiltà e la sua cultura vissero in quegli anni. Nelle persecuzioni cristiane- e dopo Angeli e demoni e il prete vampiro di Park Chan-Wook si rialzeranno gli strali delle gerarchie ecclesiastiche?- che, secondo Amenabar (ma la storia non ha mai fatto luce a fondo su questa tragedia) fecero andare perse le incredibili risorse della leggendaria biblioteca d'Alessandria, e che provocarono lo sterminio di molti pagani neoplatonici prima ed ebrei dopo. Un duro atto d'accusa contro la religione fanatica e ottusa di fronte al progresso, un poetico racconto di una vita coraggiosa e di un pezzo di storia purtroppo ancora attuale. Amenabar ci mette la sua capacità visiva (geniale la doppia velocità dall'alto sull'orda di cristiani devastatori, tragici nella loro meschinità) e un amore speciale per una storia unica. Applausi e fischi (più i primi dei secondi), il film farà discutere

giovedì 15 aprile 2010

Comunicato di Amnesty International sul sequestro degli operatori Emergency

COMUNICATO STAMPA
CS38-2010

LA POSIZIONE DI AMNESTY INTERNATIONAL SULL’ARRESTO E LA DETENZIONE DI NOVE
OPERATORI DI EMERGENCY IN AFGHANISTAN

Amnesty International chiede al governo di Kabul di rispettare gli obblighi nazionali e internazionali in tema di amministrazione della giustizia e garantire i diritti relativi al giusto processo ai nove operatori di Emergency (sei afgani e tre italiani) attualmente detenuti in Afghanistan.

Le autorita’ afgane devono rendere note ai detenuti le ragioni dell’arresto e ogni eventuale accusa nei loro confronti; devono farli comparire prontamente di fronte a un tribunale competente, anche per consentire loro di contestare la legittimita’ della detenzione; devono sottoporli a un’incriminazione fondata oppure rilasciarli. Nel caso in cui i detenuti siano incriminati, dev’essere garantito loro un processo equo dinanzi a un tribunale indipendente e imparziale, come stabilito dall’art.
14 del Patto internazionale sui diritti civili e politici, che l’Afghanistan ha ratificato nel 1983.

Amnesty International e’ preoccupata per le notizie secondo cui, nonostante Emergency abbia nominato degli avvocati per assistere i detenuti, questi ultimi non siano stati in grado di incontrarli. Le autorita’ afgane devono rispettare il diritto alla difesa, come formulato dalla Costituzione del paese e dal gia’ citato Patto internazionale; devono, inoltre, consentire con urgenza al Comitato internazionale della Croce rossa e alla Commissione indipendente afgana per i diritti umani di incontrare i detenuti.

Le autorita’ afgane devono anche permettere contatti regolari tra i detenuti e le loro famiglie, i difensori e i colleghi di lavoro nonche’, se necessario, l’accesso a cure mediche. Emergency ha criticato il fatto che dall’arresto dei nove operatori, questi non hanno potuto avere contatti con l’organizzazione. Ne’ le autorita’ afgane ne’ le forze internazionali presenti in Afghanistan hanno spiegato a Emergency le ragioni dell’arresto e della detenzione dei nove operatori.

Amnesty International e’ inoltre preoccupata per le notizie secondo cui alcuni degli operatori di Emergency si troverebbero in un centro di detenzione della provincia di Helmand, diretto dalla Direzione nazionale per la sicurezza (Nds), i servizi d’intelligence afgani. La tortura e i maltrattamenti si verificano con frequenza nelle strutture dell’Nds. La stessa Amnesty International e altre fonti hanno segnalato casi di persone detenute arbitrariamente in tali centri, spesso sottoposti a torture e maltrattamenti da parte del personale dell’Nds per estorcere informazioni, confessioni o denaro in cambio della liberta’.

Amnesty International chiede alle autorita’ afgane di garantire che i detenuti siano trattati umanamente e non siano sottoposti a torture o altri trattamenti crudeli, inumani o degradanti.

Amnesty International e’ rammaricata per il fatto che dall’irruzione del 10 aprile, Emergency non puo’ piu’ dirigere la struttura ospedaliera.
L’ospedale di Emergency a Helmand e’ uno dei pochi centri che forniscono cure mediche nella zona ed e’ dunque fondamentale che continui a operare.
Il governo afgano deve garantire la continuita’ dell’assistenza medica di
emergenza ai malati e ai feriti.

Amnesty International ha sempre condannato qualsiasi attacco deliberato contro i civili e ogni attacco indiscriminato compiuto mediante esplosivo o kamikaze, in autobus, ristoranti, stazioni ferroviarie o facendo crollare edifici uccidendovi migliaia di persone. Amnesty International sta dalla parte delle vittime del terrorismo e chiede che ricevano giustizia e risarcimenti. Gli attacchi deliberati contro i civili e quelli indiscriminati costituiscono gravi violazioni dei diritti umani e crimini di diritto internazionale, contrari ai principi fondamentali di umanita’.
Amnesty International condanna queste atrocita’ e chiede che chi le ha
commesse venga incriminato, processato e, se colpevole, punito. Queste procedure, in ogni caso, devono seguire gli standard internazionali sui diritti umani: questo significa che nessuna persona sospettata di essere coinvolta in attacchi del genere puo’ essere sottoposta a detenzione arbitraria, imprigionata in carceri segrete, torturata o tenuta in detenzione a tempo indeterminato. I governi hanno il dovere di garantire che chi pianifica e commette atrocita’ del genere sia sottoposto alla giustizia seguendo una procedura equa.

FINE DEL COMUNICATO
Roma, 15 aprile 2010

Per ulteriori informazioni:
Amnesty International Italia - Ufficio stampa
Tel. 06 4490224 - 06 4490224 - cell.3486974361 3486974361,

e-mail: press@amnesty.it

Storia criminale del cristianesimo


Presentazione
STORIA CRIMINALE

DEL CRISTIANESIMO
Tomo IX - Dalla metà del XVI fino all’inizio del XVIII sec. - Edizioni Ariele

Karlheinz Deschner

Relatori:

Carlo Modesti Pauer

Curatore

Carla Corsetti

Segretario Nazionale Democrazia Atea

www.democrazia-atea.it

sabato 24 aprile 2010 ore 18,30

Frosinone – Libreria Satyricon - via Firenze 30/32

ingresso libero fino a esaurimento dei posti disponibili

informazioni: 339.31.88.116

:

Mentre la Chiesa cattolica continua a celebrare l’ingresso nel suo terzo millennio, una voce fuori dal coro ne ripercorre minuziosamente la storia, finalmente anche per il pubblico italiano, partendo da un punto di vista inedito e provocatorio. L’opera di Deschner, del quale questo è il nono di dieci volumi, offre al lettore, credente o non credente, gli elementi per una conoscenza, lontano dall’agiografia più o meno esplicita e dal timor reverentialis che troppo spesso traspare in molti autori, dell’evento culturale che maggiormente ha caratterizzato la storia dell'Occidente e poi del mondo: il cristianesimo. Comprenderlo profondamente per allontanarsene definitivamente o viverlo con una fede rinnovata? E in ogni caso rivendicare con forza, in tali problematiche, l’autonomia personale e la libertà di scelta contro qualsiasi autorità clericale che si pretende unica depositaria della verità.

Fateli ammazzare


E' commovente come gli esponenti del governo italiano si siano immediatamente attivati per chiarire la situazione in Afghanistan. Tre cooperanti sono stati sequestrati dall'ospedale di Emergency da uomini di Karzai accompagnati da truppe inglesi. Hanno mostrato armi che sarebbero state trovate nell'ospedale (dicono) e, inizialmente hanno dichiarato che i tre avevano anche confessato il misfatto: uccidere il governatore della provincia di Helmand.


Al Times il portavoce del governatore, Daoud Ahmadi dichiara e conferma al telefono che gli italiani hanno confessato.


Poi la ritrattazione: nessuno ha detto che hanno confessato.



Riporto l'articolo di Marco Travaglio sul Fatto di oggi:

E’ struggente, quasi commovente, la gara di solidarietà avviata dagli house organ del Partito dell’Amore per i tre volontari italiani di Emergency arrestati-sequestrati in Afghanistan. L’altroieri il Giornale, per non esporli troppo, titolava a tutta prima pagina: “Terroristi, vittime o pirla”. Sommario: “A furia di giocare col fuoco talebano, gli uomini di Emergency si sono scottati. Forse stanno coi banditi, forse subiscono una rappresaglia. Ma che ci facevano le armi nel loro ospedale?”. Il soave epiteto “pirla” per tre italiani buttati in qualche cella buia di qualche carcere speciale non è una novità, per il Partito dell’Amore in versione cartacea: era già stato utilizzato da L i b e ro (direttore Feltri) nel 2003 per abbracciare idealmente il giornalista Enzo Baldoni rapito in Iraq e dunque definito “un pirlacchione”, un perdigiorno a caccia d’emozioni da Camel Trophy, sotto il simpatico titolo “Vacanze intelligenti” (l’autore della gaia trovata era Renato Farina, in arte Betulla, spia del Sismi).

L’idea che quelli di Emergency siano solo dei medici che, rischiando la pelle senza nulla in cambio, ricuciono arti amputati dalla sporca guerra scatenata dall’Occidente contro uno Stato sovrano, non sfiora nemmeno il quotidiano di Littorio Feltri: in un amorevole ritratto firmato da Giancarlo Perna (lo stesso che vent’anni fa ribattezzò soavemente “Capo inetto” un santo laico come il giudice Antonino Caponnetto, che si era offerto volontario per sostituire a Palermo Rocco Chinnici appena ammazzato dalla mafia), Gino Strada viene dipinto come un “ideologo ributtante” che “è diventato chirurgo d’urgenza per dedicarsi ai teatri bellici”.

Dinanzi a tanto amore, chiunque si sarebbe arreso. Invece Libero , anzi Occupato, ha tentato di scavalcare il Geniale e ce l’ha fatta. Secondo il quotidiano di Maurizio Belpietro, già organo del Partito monarchico a spese dei contribuenti, la colpa dell’arresto-sequestro dei tre italiani è di Strada che, “comportandosi da fiancheggiatore ideologico dei terroristi, mette in pericolo i suoi collaboratori”. Uno che sabato “va in piazza sulla pelle dei tre” e così “rischia di complicare la situazione”. Insomma il fellone li vuole proprio morti. E dire che gli basterebbe lasciar fare ai ministri Frattini Dry e Ignazio La Rissa. Il primo, con riflessi da bradipo, annuncia che prima o poi manderà una lettera a Karzai. Il secondo dipinge gli arrestati come possibili terroristi “infiltrati ” in Emergency e ha in mente un rimedio risolutivo per farli liberare: Strada “prenda le distanze da loro”, così li impiccano subito e non se ne parla più. A questo punto, per completare l’opera, scende in campo la madrina del Partito dell’Amore: Maria Giovanna Maglie, di cui s’ignorano le opere ma non le note spese.

Indossa l’elmetto, infila la mimetica, monta sul tank ed esplode su Libero una raffica di colpi di bazooka in forma di articolo.

Il risultato è una prosa di rara delicatezza, in cui si ipotizza che i tre volontari nelle mani della polizia afghana siano “semplicemente dei ragazzotti un po’ coglioni, scusate volevo dire ingenui”. “Tre poveracci”, per dirla in dolce stilnovo, subornati da quel “profittatore ” di Strada, “furbo a fregare gli altri pro domo sua”, infatti “in queste ore si agita scompostamente” invece di aspettare in poltrona l’esecuzione dei suoi amici.

Monna Maglie elenca alcune dichiarazioni di Strada contro le guerre, senz’accorgersi, poveretta, di darsi il bazooka sui piedi, perché esse dimostrano l’imparzialità di Strada fra guerre targate centrosinistra (Kosovo: Clinton-D’Alema) e centrodestra (Afghanistan e Iraq: B&B). Il titolo dell’articolo parla da solo: “Gli italiani in carcere in Afghanistan: Emergency nei guai per i deliri di Strada”. Ecco, siccome Strada ha idee che non garbano a Karzai, e dunque alla signora Maglie, allora gliene arrestano tre alla volta. E’ la democrazia da esportazione, l’amore che vince sull’odio.



A Kabul come a Roma.

lunedì 12 aprile 2010

Io sto con Emergency

Sabato 10 aprile militari afgani e della coalizione internazionale hanno attaccato il Centro chirurgico di Emergency a Lashkar-gah e portato via membri dello staff nazionale e internazionale. Tra questi ci sono tre cittadini italiani: Matteo Dell'Aira, Marco Garatti e Matteo Pagani.

Emergency è indipendente e neutrale. Dal 1999 a oggi EMERGENCY ha curato gratuitamente oltre 2.500.000 cittadini afgani e costruito tre ospedali, un centro di maternità e una rete di 28 posti di primo soccorso

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venerdì 9 aprile 2010

Legittimo giramento


Così gli Ispettori coprirono i colleghi



Giampiero Calapà dal Fatto:



I tre ispettori di polizia condannati per aver depistato le indagini sulla morte di Federico Aldrovandi fecero di tutto per “protegger e” i loro colleghi: emerge dalle motivazioni della sentenza del processo Aldrovandi bis”, scritte del gup Monica Bighetti, per la quale le gravi azioni di copertura e depistaggio cominciarono subito, il 25 settembre 2005, quando il pm Maria Emanuela Guerra non fu avvisata tempestivamente della gravità della situazione. L’assenza del pm dal “teatro delle indagini”, scrive il gup, è stata causata volutamente dalla “mancata esplicitazione dell’evidente e assoluta necessità della sua presenza, da comunicare alla persona del pubblico ministero che quella scelta doveva compiere (se arrivare o meno sul posto), ad una manifesta propensione a ridimensionare, ridurre, sottostimare l’evento nella procedura di informale comunicazione (telefonata), che lascia pensare che quella presenza sul posto non fosse affatto gradita”.


Infatti, il magistrato di turno non fu avvisato in modo corretto e in quella telefonata Paolo Marino, dirigente delle Volanti, riferì di un decesso per malore, perché “a differenza del sostituto di turno, Marino non aveva interesse a che il pm si recasse sul posto e apprezzasse di persona cosa stava accadendo, vedesse il ragazzo, interrogasse gli agenti, dirigesse le indagini”. Senza riferimento alcuno al pestaggio di Federico, 18 anni, “studente, incensurato, integrato, di condotta regolare, inserito in una famiglia di persone perbene, padre appartenente al corpo dei vigili urbani, madre impiegata comunale, un fratello più giovane, un nonno affettuoso al quale il ragazzo era molto legato”. Federico morì “all’alba, in un parco cittadino, dopo uno scontro fisico violento con quattro agenti di polizia, senza alcuna effettiva ragione”. Quindi il gup spiega che i funzionari della Questura di Ferrara Marino (un anno per omissione), Marcello Bulgarelli (dieci mesi per omissione e favoreggiamento) e Marco Pirani (otto mesi per omissione) hanno depistato per coprire i colleghi – Paolo Forlani, Luca Pollastri, Enzo Pontani e Monica Segatto condannati in primo grado a tre anni e sei mesi per omicidio colposo: “Preoccupati dei riflessi negativi del fatto rispetto alle loro responsabilità di direzione e organizzazione dei servizi, sono stati padroni del campo del delitto per tutto il tempo necessario allo svolgimento delle prime sommarie indagini e all’indirizzo investigativo che si è ritenuto di dare alle stesse”. Inammissibile, perché “la ragion d’essere dello Stato democratico di diritto sta nel garantire che i rapporti civili si svolgano con assoluta esclusione dell’uso della forza e della violenza” e “la trasgressione di questo vincolo da parte dello Stato – continua il gup – l’uso della violenza contro inermi, delegittima lo Stato”.

Inutile


Berluscraxi

...teribbbile!

mercoledì 7 aprile 2010

Predatori


martedì 6 aprile 2010

Nuova specie di ominide riscrive la storia



ASCA-AFP) – Parigi, 24 mar – Un ominide vissuto nel sud della Siberia circa 40 mila anni fa potrebbe ridisegnare l’albero di famiglia del genere umano, riscrivendo la storia del suo esodo dall’Africa e della sua conquista di tutta la Terra. Gli scienziati hanno analizzato tracce di DNA prelevate dalle ossa di una falange, probabilmente appartenuta ad un bambino, trovata in una caverna dei Monti Altai, la grotta di Denisova. L’ominide aveva caratteristiche genetiche diverse da quelle dell’uomo di Neanderthal e l’Homo Sapiens, che abitavano la zona nello stesso periodo, il che ne farebbe una distinta specie di razza umana. Lo studio, pubblicato sul settimanale Nature, e’ stato condotto dall’Istituto Max Planck in Germania e la scoperta, una volta confermata, potrebbe arricchire di un nuovo capitolo la storia dei nostri antenati


Il nuovo ritrovamento fossile potrebbe costringere i paleontologi a riscrivere la storia dell’evoluzione umana. L’analisi del Dna rinvenuto in un frammento osseo dimostra l’esistenza di un ominide vissuto 40.000 anni fa in Siberia; questo nostro "antico parente" sarebbe il risultato di una migrazione dall’Africa sconosciuta e precedente sia a quella degli antenati dell’Uomo di Neanderthal (avvenuta circa mezzo milione di anni fa) che a quella dell’Homo sapiens (circa 50.000 anni fa).


L’analisi mostra importanti differenze nel DNA mitocondriale, differenze notevoli in relazione alle due specie umane – H. sapiens e neanderthalensis – che si pensava abitassero quella zona durante il Pleistocene.
Il DNA mitocondriale di Neanderthal si differenzia in media di 202 posizioni nelle basi nucleiche da quello dell'uomo moderno. La differenza del nuovo fossile in confronto a esseri umani moderni è circa due volte più grande.
L’analisi del DNA mitocondriale, condotta da ricercatori tedeschi del Max Planck Institute di Lipsia, ha rivelato che non combacia con quello né dei Neandertal né degli uomini moderni (che all’epoca vivevano lì vicino).Sebbene l’individuo sia stato soprannominato X-woman (per il nome ufficiale si è preferito aspettare), gli scienziati pensano che si trattasse di un bambino tra i 5 e i 7 anni; non si sa se maschio o femmina. L’osso del mignolo, di cui finora non sono state rilasciate foto o descrizioni, sarebbe potuto appartenere a una specie umana estinta, finora sconosciuta, che migrò fuori dall’Africa molto prima dei Sapiens. Le differenze del DNA mitocondriale implicano che l’ominide di Altai si distaccò dall’evoluzione degli esseri umani un milione di anni fa. Se così fosse, la presunta specie deve aver lasciato l’Africa in una migrazione precedentemente sconosciuta, compresa comunque tra quella dell’Homo erectus (il primo ominide a lasciare l’Africa 1.9 milioni di anni fa) e quella dell’Homo heidelbergensis (300000-500000 anni fa) – che presumibilmente diede origine all’uomo di Neandertal.


venerdì 2 aprile 2010

Il figlio di re Umberto



Il figlio di Bossi vince con circa 13.000 preferenze.

Lo hanno votato quasi tutti gli ex compagni di scuola.